Ritorno dal Passato

 
 
L'Uomo che venne dal nulla
 
Erano passate solo dodici ore lunari e già quel mondo si copriva di tenebre. Scendeva la notte.
Lo straniero ebbe un brivido di freddo e nervosamente si soffiò tra le mani. Mosse qualche passo incespicando tra le rocce - un deserto arido si stendeva tutt'intorno, fin dove lo sguardo riusciva a penetrare, rubando qualche metro all'oscurità azzurrognola: solo abbandono, malinconia. Si sentì stanco, un'emozione improvvisa mai provata prima. Forse la solitudine. Il buio divenne opprimente quasi doloroso.
Respirò l'aria rarefatta, diede un ultimo sguardo nella notte ormai impenetrabile, poi scese lentamente a tentoni in quella che un giorno era stata una città: ora l'allucinante fascino d'una necropoli l'avvolgeva.
Il terreno era cosparso di detriti. Solo le pareti, coperte d'affreschi incredibilmente luminosi, parevano dar vitalità al luogo - un tempo immobile, statico, per sempre legato all'eternità.
L'aria era fredda, profumata, umida di muschio. Yorwa si abbandonò a quel profumo. Di nuovo una stanchezza greve lo pervase - mille pensieri turbinavano impazziti nella sua mente - luci scintillanti si mischiavano ai colori magicamente sospesi per sempre in quel luogo.
Un pianeta morto!
Un deserto arido, sabbioso - solo rovine - un pianeta precipitato nell'abisso del nulla.
Si trovò ancora tra le mani quel libro insolito. Un oscuro idioma - quella scrittura così familiare, così simile e così diversa, celava il segreto di quel mondo sperduto nello spazio: forse la storia d'un popolo, di una civiltà che lo aveva abitato, reso vivo ed anche distrutto.
Nel libro di pietra, forse la chiave d'un segreto conosciuto solo dalle stelle, quelle stelle che adesso il perenne velo di polvere tingeva di viola . Ma c'era stato un tempo lontano in cui le stelle erano chiare e le valli erano verdi - un tempo in cui i mari profondi lambivano le rive e grida di vita toccavano le cime d'alte montagne.
Ascoltò la sua voce, quasi un soffio leggero che si perdeva nei corridoi bui; provò a leggere la scrittura impressa sulla lastra di pietra - arret.… Ancora l'odore di muschio, il silenzio impenetrabile, vellutato.
Un sole pallido e freddo ondeggiava tra le spesse nubi di polvere, la tenue luce del giorno saettando tra le rocce disegnava immagini grottesche, immagini spettrali in un mondo da incubo.
Si sentì ancora stanco, più stanco. Cosa stava succedendo? E poi quel vuoto orribile nella mente - chi era? Cosa stava facendo in quel mondo sperduto? Nel silenzio allucinante mille domande senza risposta.
Il vento divenne più freddo, ostile. Scivolando tra le rocce e sferzandolo in volto gli portava un messaggio tragico di morte.
Era passato tanto tempo ormai da quando si era svegliato: ore lunghissime, eterne. In quel luogo spettrale sentiva come un'ombra persistente, viscida, inesorabile. La sentiva fredda, sempre presente ad ogni passo e ad ogni respiro. Era lì, presagio misterioso ed implacabile.
Un dolore lancinante, improvviso lo fece vacillare: annaspando l'aria cercò invano di reggersi in piedi.
Le ginocchia si piegarono. Barcollò tentando d'aggrapparsi ancora ad una inesistente parete, digrignò i denti tra le labbra tirate in un'orribile smorfia, poi respirò l'odore secco della polvere.
Rimase con il volto nella terra.
Adesso sentiva come un ronzio di mille api nel cervello, un fuoco nelle viscere.
Di quale malia, di quale orrendo incubo era prigioniero?
Doveva ricordare, doveva sapere. Forse il segreto era sepolto sotto un cumulo di rovine, forse nella sua mente un segreto terribile giaceva ammantato dalla polvere dell'oblio.
A fatica, con uno sforzo immane, si mise a sedere. Un sudore freddo gli imperlava la fronte. Sentì ancora quell'arcana presenza - invisibile - pesante come il suo respiro.
La sua mente andò a ritroso nel tempo cercando uno spiraglio, un indizio, qualcosa a cui potesse aggrapparsi per uscire da quel tunnel oscuro, da quella angosciosa disperazione.
Riandò al momento del suo risveglio - della sua nascita, così lui l'aveva chiamata dal momento che del prima non conservava alcun ricordo.
Inseguendo i suoi pensieri, si vide ondeggiare tra colori striduli, ovattati d'irreale silenzio. Quasi sorrise quando pensò al momento in cui si era dato un nome per sentirsi meno solo - per sentirsi ancora vivo: Yorwa.
Yorwa, lettere rubate a caso qua e là da alcune scritte su delle strane casse metalliche, ed in quei contenitori aveva trovato del cibo, dei capi di vestiario, dei libri ... Yorwa - Io straniero. Ecco chi era... nessuno!
Nessuno: prigioniero di un tempo statico, immoto - prigioniero di una terra agonizzante, siderea - schiavo della solitudine e del silenzio.
Sentì un nodo alla gola ed il sangue pulsare forte alle tempie.
Una luna enorme, colore della mimosa, si levò tra le colline di sabbia. Nell'aria fluttuavano miriadi di granelli scintillanti.

Ancora quel sogno - le tenebrose profondità della mente lo avvolsero in un sonno agitato popolato di fantasmi precipitandolo nei remoti meandri dell'impossibile tra le intricate spire della paura.
Ansante, sudato, incatenato al suo segreto, lottava per non svegliarsi. Voleva, doveva sapere!
Vaghe immagini iniziarono a riaffiorare dalle cavernose regioni oniriche: l'aria era tiepida, i profumi dei fiori si rincorrevano in un cielo azzurro, trasparente. Si vedeva camminare tra la gente, tanta gente. Strade affollate in quel mite pomeriggio d'autunno. Vedeva stormi di bianchi gabbiani là, nella baia, volteggiare e sfiorare la superficie del mare lievemente increspata dalla brezza leggera che soffiava da ponente.
D'improvviso, poi, le grida - la gente come impazzita, un'assurda marea di carne e sudore in preda al panico.
Quasi inebetito, senza comprendere, scorgeva solo il terrore negli occhi della gente. Il cielo era diventato rosso come di fiamma: una luce accecante - mille soli che ardevano - le grida laceranti, inumane, ed il vento tempestoso. Il vento che fondeva la pelle, che asciugava gli occhi - un vento di piombo fuso. No! NOOO…

L'urlo echeggiò sulle pareti, cento mille volte in un crescendo assurdo - poi lentamente si spense ingoiato dall'oscurità. Nel silenzio, solo il suo respiro.
Ora sapeva !... Le immagini terribili impietose di un passato prossimo, un passato che tornava violento, spietato, scorrevano nella sua mente con esasperante lentezza - gli occhi vitrei, allucinati, persi nel vuoto.
E ricordò: era fuggito, trascinato, travolto da una marea di carne. Terrorizzato, con il cuore in tumulto era riuscito a guadagnare una di quelle scale che conducevano ai rifugi sotterranei, a quei rifugi che da alcuni anni nascevano nelle viscere della città.
Si voltò indietro: ancora l'orda urlante, occhi pieni di terrore.
La luce accecante, il vento ardente che scaraventava, schiacciava, ingoiava e poi... il nulla.
Ora, ora sapeva.
Si guardò le mani. Le vesciche grigie e calde pulsavano, mentre scostava un leggero strato di polvere. La scritta adesso appariva comprensibile, indelebilmente incisa dalle radiazioni sulla lastra di marmo: una crudele beffa del destino.
La stessa morte, lo stesso vento che aveva cancellato millenni di storia, il vento che in pochi istanti aveva consumato il folle olocausto d'una umanità ancor più folle, aveva suggellato il suo passaggio d'orrore trasformando la prima pagina dell'umanità nell'ultima della sua storia.
Epitaffio silenzioso, arcano. "Arret al 'oerc..." - "E Dio creò la terra". Le labbra livide, una lacrima scivolò sul suo volto e cadde sulle mani informi - un singhiozzo come una preghiera per tanto tempo dimenticata.
Ancora un altro giorno, ore lunghissime, lente. Tutte uguali.
Un'altra alba livida. Nel grigiore del silenzio veli di polvere avvolgevano le rocce che il vento carezzava con le sue dita gelide.
Le mani adesso gli sanguinavano. Si sentiva stanco, sempre più stanco.
Il silenzio diveniva sempre più opprimente, esasperante…

Tutto gli ruotava intorno. "Perché vivere?"... Che senso aveva trascinarsi giorno dopo giorno, con il fardello tanto doloroso dei ricordi?
Perché? Perché non era stato inghiottito, cancellato? Perché quella lenta agonia? Vivere non era stato un destino migliore.
Ancora quella strana sensazione. Un'ombra scivolò sulla parete, leggera, quasi danzando nella luce tremula del fuoco acceso. Egli la vide, gli parve d'udire anche dei passi. Per un istante una speranza folle, l'assurda speranza di non essere solo. No! Non era possibile.
Delirava. Sì, stava vaneggiando, lentamente stava precipitando tra i marosi della follia. La solitudine: certo la solitudine lo avrebbe fatto impazzire.
Sentì ancora dei passi lievi. Poi dai bui corridoi l'ombra prese corpo - una figura diafana, sottile. II volto ceruleo, illuminato da un dolce sorriso. I lineamenti delicati, trasparenti, incorniciati dai capelli neri fluenti sulle spalle, davano alla figura l'aspetto regale d'una antica dea partorita dall'invisibile trama dei sogni. Irreale, leggiadra, la figura pareva sospesa sulle fiamme che ghermivano l'aria di timidi lapilli. Le ombre rosse del fuoco saettavano veloci sulle pareti di pietra.

Silenziosi, avvolti dalle ombre violacee della sera, camminavano lentamente, uno accanto all'altra, mentre il vento continuava a danzare capriccioso tra le alte dune di sabbia.
Yorwa, l'uomo venuto dal passato, non aveva aperto bocca: nemmeno una parola.
Si sentiva stranamente appagato, quasi felice - e poi quel volto, quel sorriso. Immagini lontane ma vive, brucianti nella sua mente sconvolta.
II sorriso di Mirian; i suoi capelli - perché distruggere con una parola quell'ultima illusione? Chiedere il nome ad una immagine? Rompere un magico incantesimo?
Mirian… l'aveva amata tenerissimamente, come un fiore, come la sua stessa vita, quella vita che sentiva sfuggire sempre di più.
Le loro mani si sfioravano appena. Ancora il sorriso e nel silenzio quasi un sussurro: "Sono tornata. Sono tornata per te".
Innanzi ai loro occhi, sconvolta dall'immane apocalittica tragedia, la baia di San Francisco.
L'oceano, una distesa di sale di biancheggianti cristalli e polvere come fantasmi ondeggianti nel vento.
Lentamente, senza accorgersene, Yorwa scivolò in una pace immensa, in una voragine senza tempo.
Nell'oscurità violacea della notte, una mano pietosa chiudeva i suoi occhi rimasti incantati a guardare un'ultima tremula stella.
Poi, nel vento, la donna dal volto di Mirian scivolò leggera, svanendo nel nulla da dove era venuta.
Era tornata! Era tornata solo per lui - l'ultimo Uomo.
Qualche orma nella polvere, e nell'immensità dell'Universo un mondo avvolto nella desolazione. Quel mondo azzurro che l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, nella sua stupidità, nella sua grottesca follia aveva distrutto per sempre.

Maurizio Cavallo (Jhlos)