Intervista pubblicata su "Area 51" n° 20

Maggio 2007
 
 
 
Perchè io ?
di Paola Harris (Seconda parte).
 
Contattato o rapito? Il dilemma della vita di Maurizio Cavallo nella seconda parte di questa nostra straordinaria intervista.
 
Abbiamo lasciato Paola Harris e Maurizio Cavallo su un punto assai delicato, quello delle foto degli esseri da lui incontrati. Paola lo incalza con interrogativi più specifici.

Paola Harris: Io sono solo la portavoce di chi ha avuto esperienze. II mio compito è quello di fare un buon lavoro e di riportare fedelmente quello che dicono i testimoni, perché alla gente giungano le informazioni, senza che subiscano alcuna alterazione.

Maurizio Cavallo: «Ho sentito il dovere di raccontare la mia esperienza dopo 11 anni. Raccontare quello che mi è accaduto, che poteva accadere anche agli altri, che mi ha trasformato completamente, nella vita, negli affetti, interiormente, però dopo mi sono pentito di averlo fatto perché è vero che ho incontrato della gente aperta, grande e bella dentro, che desiderava conoscere e che stà cercando una verità, ma ho trovato anche tanta cattiveria. Ho trovato delle persone che sono egoisticamente portate a dei fini dagli interessi personali e questo mi ha disgustato. Ho incontrato anche dei folli, dei pazzi veri. Due mesi fa è venuto quì, dopo reiterate telefonate, un tizio che si è presentato come comandante in capo della flotta extraterrestre e, per dimostrare che era un extraterrestre, mi ha fatto vedere quello che per lui era il raggio laser, ma era una pila tascabile cinese, con i led luminosi. Queste sono cose che mi angosciano».

P.H.: E come fai a liberarti di visitatori del genere?

M.C.: «Avevo intenzione di invitarlo a pranzo, come mia abitudine con persone che non conosco, per averlo come amico, una persona cara. Poi, quando ho visto realmente di chi si trattava, allora con tutta la mia buona volontà, ho dovuto inventarmi un impegno improvviso. Detesto mentire, amo la franchezza. Anche se sono brusco a volte, amo dire ciò che penso, non sopporto più un mondo fatto di menzogne eppure, in questi casi ti devi proteggere. Era una persona pericolosa».

P.H.: Ci sono anche persone che ti vedono come un guru, come le gestisci?

M.C.: Mi faccio odiare da loro, nel senso che se credono che io possa dare qualche cosa, qualche insegnamento - sono sempre stato molto chiaro - dico loro che non sono un maestro, non posso insegnare altro se non la mia esperienza. Se dalla mia esperienza potete trarre qualche insegnamento, ne sono contento, però non posso insegnare nulla perché stò ancora imparando. Ecco, in quel momento la loro reazione a volte è distruttiva perché si sentono traditi. È come se tu non volessi dare loro qualcosa che gli appartenga di diritto. Da quando nel 1981 ho avuto questa esperienza che mi ha cambiato, sono diventato una persona che può essere amata o odiata».

P.H.: Nel 1981 eri sposato? Avevi dei figli?

M.C.: «Sì, ero sposato e avevo due figli. La bambina aveva sette anni e il bimbo quattro».

P.H.: È accaduto tutto all'improvviso?

M.C.: «Sì. Avevo avuto delle esperienze come tutti quanti. Avevo visto delle luci in cielo, però quella notte, la notte del rapimento è caduta su di me all'improvviso. Non mi aspettavo una cosa del genere e, da quel momento, è cambiato tutto».

P.H.: Ho notato che hai usato la parola rapito. Lo chiami un rapimento o un contatto?

M.C.: «Lo chiamo rapimento».

P.H.: Perché è avvenuto contro la tua volontà?

MC.: «Sì, io non volevo, mi hanno costretto. Ero in casa. Nel libro c'è tutta la storia, tutti i momenti drammatici che ho vissuto. Io ero in casa e ho avvertito... cominciavo a stare male fisicamente, mi sentivo febbricitante e quindi in maniera improvvisa ho sentito una voce dentro di me, un ordine imperioso che mi induceva a recarmi fuori, a ritornare sulle colline del Monferrato sulle quali eravamo stati la sera prima con degli amici a fare un passeggiata. Dopo una cena in pizzeria eravamo andati a fare un giro sulle colline a 18 km da Vercelli. Siamo scesi dall'auto a passeggiare e mentre eravamo lì, è apparso nel cielo un globo luminoso, di fuoco, che si è abbassato dietro a degli alberi e sembrava fosse atterrato e allora noi, tutti presi dall'eccitazione, siamo andati a vedere cosa era successo. Naturalmente era notte, era buio, la zona era impervia con rocce e rovi, quindi abbiamo desistito da questo proposito e ognuno è tornato a casa propria. Appena rientrato a casa, ho cominciato a sentirmi male. Avevo caldo, freddo, febbre, in un primo momento avevo pensato che poteva addebitarsi a una cattiva digestione, a qualcosa che avevo mangiato e che mi aveva fatto male. Non riuscivo a dormire e poi ho sentito questa voce che mi compenetrava e mi induceva a riprendere l'auto e a tornare sulle colline. E in quel momento ho cominciato una lotta titanica, una lotta incredibile. Ho cercato di svegliare mia moglie per dirle che stavo male e che sentivo il bisogno di uscire. Mia moglie continuava a dormire come se fosse stata drogata. Nel libro, racconto nei dettagli un'esperienza particolarmente strana, è come se la mia abitazione, casa mia, fosse stata chiusa da un qualche cosa... non so come definirlo, sembrava quasi di essere congelati. Non sò se è il termine giusto. Infatti, vado in bagno, prendo dell'acqua da bere, poi mi scivola il bicchiere dalle mani, che cade, và verso il pavimento in maniera lentissima...».

P.H.: Perché si ferma il tempo?

M.C.: «Essendo un sabato sera, fuori c'era il via vai di un giorno di festa. Dentro casa non si avvertivano i rumori. Quando il bicchiere cade per terra ed esplode in mille frantumi, io non odo il rumore. Era tutto quanto cristallizzato. Era come se il tempo avesse rallentato. Quindi, per me è un rapimento perché io non volevo andare. Più opponevo resistenza, più nel mio cervello arrivava un dolore lancinante e nella mia testa il malessere cresceva. Me ne accorgo perché mentre pensavo di prendere l'auto e ritornare verso le colline, il malessere si attenuava. Se invece pensavo di voler tornare a casa, il malessere riprendeva forte e più di prima. Quindi è una costrizione, per me è stato un rapimento. Se mi avessero detto di andare in quel posto, io non ci sarei andato».

P.H.: Ieri questa ti sembrava un'esperienza ostile. E oggi, nel 2007?

M.C.: «No, anche nel libro dico che coloro che furono i miei carcerieri, li definisco violentatori, li definisco rapitori. Coloro che mi rapirono e mi tennero prigioniero sono stati narrati come coloro che mi hanno donato la libertà».

P.H.: Ti hanno fatto vedere una certa verità.

M.C.: «Mi hanno fatto vedere che il cosmo non è quello che crediamo, che la vita non è quella che viviamo, che tutto ciò che crediamo essere vero è soltanto una mera illusione. Mi hanno fatto affacciare ad una finestra sul cosmo, mi hanno portato ai limiti della follia, hanno distrutto il Maurizio che c'era, il Maurizio che c'era prima non c'è più, lo hanno lapidato, lo hanno scorticato, però mi hanno concesso di vedere oltre, oltre i confini della realtà, di quella che noi definiamo realtà. Mi hanno fatto un grande dono, mi hanno donato la libertà».

P.H.: Ad un prezzo molto alto....

M.C.: «Ad un prezzo molto alto. Vedi.. quando capisco che queste persone vogliono qualche cosa perché credono che io possa essere un maestro, a loro dico che io non possiedo la verità, ma la mia verità mi appartiene completamente e mi rammarica... mi spiace che questa verità che mi appartiene, che è ormai in me radicata, sia manipolata, perché non tutti possono capire».

P.H.: Certo, siamo sul pianeta Terra, siamo umani, una specie particolare, stiamo crescendo, tu stai cercando di portare l'individuo dalla terza elementare direttamente al liceo, ma non si possono saltare classi, a te è successo, loro lo hanno fatto...

M.C.: «Sì, ma forse c'era già una preparazione.»

P.H.: Proprio questo volevo chiederti...

M.C.: «Sì, perché poi ho capito, tutto ciò non accade per caso. Mia madre era stata rapita.»

P.H.: Come l'hai saputo?

M.C.: «Mi hanno fatto vedere le immagini, noi potremmo definirle come immagini registrate. Mi hanno fatto vedere queste immagini in un monolito, in una piramide rosso rubino che fungeva come uno schermo. Mi hanno fatto vedere l'immagine di una ragazza che camminava in un cimitero. In un primo momento non l'avevo riconosciuta e mi hanno detto: "Non potevi conoscerla. È tua madre da ragazza, anche lei ha conosciuto i segreti delle stelle". Quindi, c'è una programmazione.»

P.H: Tua madre te ne ha mai parlato? Ti ha mai chiesto nulla?

M.C.: «Mia madre è morta quando avevo tredici anni. Con mia madre ho avuto sempre un rapporto particolare, intenso. Non avevamo bisogno di parlare. Lei mi guardava e io capivo. Io la guardavo e lei capiva. Non ricordo dei discorsi, dei ragionamenti con mia madre, so che il nostro era un rapporto completo. Quando morì, sentii molto la sua mancanza. Non soffrii molto. Non ebbi la sofferenza viva che si prova nella psiche, che si prova nella carne, ero sereno perché io sapevo. Nove mesi prima io seppi che lei sarebbe morta».

P.H.: Come è morta?

M.C.: «Aveva avuto dei cali di pressione. Il medico aveva diagnosticato invece il contrario, aveva capito, forse per errore, che aveva la pressione alta e diede dei farmaci per abbassarla. Mia madre fiduciosa li assunse, da quel momento in poi probabilmente il muscolo cardiaco è stato inficiato e ha dovuto poi essere ricoverata con disfunzioni cardiache molto gravi. Nove mesi prima, nel momento in cui mia madre entrò in ospedale, sapevo che sarebbe morta. Ne avevo la certezza e aspettavo quel momento con serenità. La certezza che comunque non mi sarei mai staccato da lei. Naturalmente in quel periodo avevo tredici anni, io credevo in Dio, il Dio dei cattolici e quindi da ragazzo quale ero, pregavo per mia madre, pregavo questo Dio di farla vivere e di guarirla. Nel momento in cui mia madre morì, mi arrabbiai molto con Dio perché allora pensavo che Dio dovesse ascoltare tutte le nostre preghiere. Da quel momento in poi dissi: "Tu non esisti, tu non ci sei perché non mi hai ascoltato". Con il passare del tempo e attraverso questa esperienza vissuta nell'81, ho cominciato a riflettere e a pensare in maniera diversa. Ho capito che esiste una mente divina totalmente diversa dall'immagine alla quale normalmente siamo abituati. Esiste una mente divina, ma non tutte le nostre preghiere possono essere ascoltate perché esistono dei programmi e la vita e la morte sono soltanto delle radici di questo programma. Quindi con mia madre, ho sempre avuto un'intesa perfetta. Quella notte mi fecero vedere mia madre ragazza».

P.H.: Ti hanno mai fatto vedere tua madre viva?

M.C.: «Sì, l'ho incontrata».

P.H.: So che ti hanno portato su Clarion. L'hai incontrata sulla Terra o su Clarion?

M.C.: «L'ho vista in casa. Una sera mi dissero che avrei ricevuto una visita che mi avrebbe fatto piacere. In un primo tempo pensavo di sognare perché ero a letto, stavo dormendo e poi invece mi accorsi che non stavo assolutamente dormendo, ma che ero sveglio. Avevo visto mia madre ma non così come l'avevo conosciuta in vita sulla Terra, non aveva le stesse sembianze. Sapevo che era mia madre , ma non aveva lo stesso aspetto».

P.H.: Com'era?

M.C.: «Era molto più giovane. Non abbiamo parlato, non mi ha detto nulla, ma mi ha fatto un cenno che era tipico, un cenno con la mano che mia madre faceva solo con me. Mi ha sorriso e basta».

P.H.: Questo sembrava un sogno?

M.C.: «No, in un primo momento mi sembrava un sogno perché ero a letto, poi mi sono accorto che non era un sogno, infatti mi sono alzato, per andare incontro e lei mi ha fermato, mi ha sorriso, mi ha fatto questo cenno che io riconoscevo abituale. Quando da piccoli andavamo a letto, per salutarci, per darci la buona notte, ci faceva un cenno con la mano e mi ha fatto lo stesso cenno. Io in quel momento, prima che finisse tutto ciò, ho sentito dentro che dovevo rimettermi a letto e addormentarmi. Ti assicuro che non è stato un sogno».

P.H.: Gli abitanti di Clarion sono di carne e ossa? Li hai mai incontrati per strada?

M.C.: «Li ho incontrati al supermercato.»

P.H.: Facevano la spesa?

M.C.: «No, dovevamo incontrarci... la gente non deve credere a quello che io racconto, deve solo riflettere su quello che racconto e magari riflettere se tutto ciò che ho raccontato può essere reale e vero e se la loro coscienza gli fa intuire che potrebbe essere reale, di interrogarsi sino al punto, se è possibile, di raggiungere un interrogativo: se non siamo soli. Le foto non sono una prova, anche perché io non le divulgo. Ho foto di UFO, di alieni. Questa è la foto di Suell, racconto di lui nel libro».

P.H.: Potrebbe camminare tra noi!

M.C.: «Cammina tra noi, io l'ho incontrato in una grande città di cui non posso fare il nome. Mi ha dato un cartoncino nero, che mi dava degli impulsi, mi suggeriva di fare o di non fare determinate cose. Ad un certo punto, so che devo andare a prendere il treno per recarmi in una città dove incontrerò qualcuno di loro. Durante il viaggio mi chiedo: "Ma come mai devo prendere il treno per andare in questa città se altre volte quando loro hanno voluto mi hanno prelevato?". Forse è una prova, forse è un meccanismo strano che non capisco. Quando arrivo in questa città, incontro tranquillamente la persona che avevo già incontrato su una nave magnetica, su un UFO».

P.H.: Dove era l'appuntamento?

M.C.: «Sapevo di dover andare in un bar e di aspettare. Sono passate ore. II tempo passava e non arrivava nessuno e l'angoscia mi prendeva. Pensavo fossi stato io ad inventarmi questa cosa... dopo un po' di tempo, tanto tempo, lui arriva tranquillo come un ragazzo qualsiasi e mi dice: "Ciao, è tanto che aspettavi?". È tutto nel libro».

P.H.: È normale? Parlava normale?

M.C.: «Sì, ha un appartamento, lavora sulla Terra».

P.H.: Come fai a riconoscerli?

M.C.: «Li riconosci».

P.H.: Tu li riconosci.

M.C.: «Mi ha chiesto se avevo notato qualche cosa di strano nella cassiera del supermercato, ma a me non sembrava. Era una bella ragazza, ma non mi sembrava di aver notato qualcosa di stiano. Poi ho riflettuto un poco e ho detto: "Ma sì, qualcosa di strano c'era!" Aveva un orecchino strano, sembrava un mondo dentro un mondo. In quel momento non ci avevo fatto caso, solo quando me ne hanno parlato. Ci sono alcuni di loro che vivono e lavorano qui sulla Terra».

P.H.: A quale scopo?

M.C.: «Perché devono influenzare l'evoluzione di questo pianeta, non condizionarlo, influenzarlo».

P.H.: Hanno un DNA completamente alieno, o metà alieno e metà umano?

M.C.: «Ce ne sono alcuni che sono totalmente alieni e che sono venuti qui già adulti. Apparentemente hanno trenta, quarant'anni. Arrivano così. Loro non hanno problemi per avere documenti... e sono proprio di DNA alieno, definiamoli così, poi ci sono quelli che nascono qui che sono alieni, ma che prendono il corpo con il DNA umano e quindi sono ibridi».

P.H.: Pensi che il governo ne sia a conoscenza?

M.C.: «Non tutti. Alcuni».

P.H. Le donne sembrano attrici.

M.C.: «Sono molto belle. Devi notare una cosa particolare che mi è stata spiegata, queste sono foto polaroid effettuate senza lo sviluppo, c'è sempre un assorbimento della luce perché loro assorbono la luce dell'atomo. In uno degli ultimi contatti, in una base che loro hanno in profondità nel mare, di fronte alla città di Genova... (Cavallo mostra una foto, N.d.R.)... Questa è la foto di quelli che un tempo nella Bibbia venivano definiti Cherubini, sono esseri astrali».

P.H.: Sei incredibile! Riesci a fare delle foto...

M.C.: «No, affatto... Guarda questa foto, occorre molta luce... c'è un'astronave e si vedono delle figure. Una di queste è un grigio di quelli alti, almeno così li definiscono. Questo è un altro grigio, ma di razza ibrida, un innesto tra umani e alieni».

P.H.: Dove hai fatto questa foto?

M.C.: «Nella base».

P.H.: Come ti ci hanno portato?

M.C.: «Fisicamente, l'anno scorso».

P.H.: Come accadde?

M.C.: «Ormai c'è una simbiosi. Inizio ad avere uno stato di estremo nervosismo, anche fastidio, sono molto teso e avverto delle induzioni, dalle quali mi lascio guidare. Quando sono molto forti vado in determinati posti. Arrivato in un determinato posto, lì incontro una persona fisica che appartiene al mondo alieno. Mi fa da guida e mi porta in questa base».

P.H.: Come ti hanno portato in questa base?

M.C.: «Con una barca normalissima. Siamo partiti dal porto, siamo andati in un punto del mare e da quel momento in poi il mare intorno a noi ha cominciato a roteare. Io mi sono spaventato, naturalmente, perché sembrava un ciclone e abbiamo cominciato a scendere con tutta la barca. Intorno, mentre scendevo, vedevo come una parete di cristallo, l'acqua non era più liquida, era solida. Le pareti d'acqua erano solide, come una specie di tunnel e scendevamo giù finché ad un certo punto si sono aperte come dei raggi, come se noi ci trovassimo nel centro di una ruota e c'erano dei raggi che erano i corridoi di questa base e da lì siamo penetrati in questa base che loro hanno sotto il mare».

P.H.: Di che razza si tratta?

M.C.: «Sono Clariani che collaborano con un'altra razza».

P.H.: Io intuisco che non sei un turista, che hanno un programma ben definito. Vogliono che tu divulghi questa realtà così complessa, così difficile da digerire in maniera soft?

M.C.: «È molto probabile, ma forse la cosa primaria è che mi stanno istruendo, questo lo penso io e posso anche sbagliarmi. Mi stanno istruendo, quindi tutto quello che mi sta accadendo, ciò che vedo, che vivo e che in parte serve a portare ad altri in maniera soft come tu hai detto, questa realtà, principalmente penso che serva a me stesso. Vedi Paola, noi crediamo di fare delle scelte. Per noi è terribile capire, accettare che abbiamo fatto delle scelte, che abbiamo fatto delle cose pensando di aver deciso noi, invece a volte non è così. Se potessi tornare indietro, non potrei vivere in un'altra maniera. Non hanno mai avuto su di me nessun fascino lo sport, il calcio, i miei hobbies erano la pesca, il lavoro, la famiglia. Ho sempre creduto, questo sì, fin da ragazzo, che gli altri mondi fossero abitati. Ho sempre creduto che ci fossero delle intelligenze viventi su altri piani. Comunque avevo una vita normale e improvvisamente sono stato scaraventato... Loro quando camminano scivolano, è un effetto straordinario».

P.H.: Anche per strada camminano così?

M.C.: «No, per strada vedi la persona normale, se fai attenzione lo capisci da alcuni indizi. Sono sempre delle persone molto gentili, che irraggiano, anche quando non parlano, un'energia che ti fa star bene. Quando parlano la voce può sembrarti lievemente metallica, un po' bassa. A volte succede perché c'è una specie di traduttore immediato dal loro linguaggio al nostro, ma probabilmente le loro corde vocali danno questo tono un po' più basso, più profondo. Hanno le orecchie grandi, poi ci sono gli occhi particolari, soprattutto penetranti e hanno questi modi gentili, affabili. Ma soprattutto l'energia, l'energia che senti... Infatti ti possono incutere paura per la forte energia che emanano. Ti senti a disagio».

P.H.: Nel mio secondo libro ho scritto molto a riguardo, su come ci si deve comportare per non spaventarci al cospetto di razze aliene, prima di tutto accettando le diversità che esistono tra le razze terrestri. Tu sei stato davvero fortunato. Questo ti è successo nell'81. Ora cerchiamo di capire, questo non è stato solo un contatto, hai qualche previsione sul futuro? Possiamo dare una speranza alle persone?

M.C.: «La speranza sì, l'unica speranza è che la nostra coscienza, la coscienza umana si ponga su un piano diverso, su un piano più evoluto».

P.H.: Non abbiamo molto tempo...

M.C.: «Non abbiamo più tempo e il compito diventa titanico. È un cambiamento di dinamismo, più che di consapevolezza è dinamismo. Il tempo per cambiare il dinamismo c'è, perché sono due cose diverse. La consapevolezza ha necessità di un lunghissimo tempo di assimilazione. Tutto quello che mi è accaduto appartiene a un programma iniziato non so quanto tempo fà. Quando mi fecero vedere le immagini di una fanciulla, di una ragazza che non potevo riconoscere subito perché non ero ancora nato, e che riconobbi come mia madre e mi dissero che anche lei era stata toccata dai signori delle stelle, allora cominciai a comprendere che tutto quanto faceva parte di un programma. Molti di noi su questo mondo inconsapevolmente fanno parte di questo programma. Anche individui, persone che a volte dicono di non aver mai visto nulla. Noi vediamo in questa realtà meccanica, io ho imparato a vedere in una realtà magica. Uso magia non nel senso negativo solito, perché l'universo è in effetti una creazione magica e le dimensioni, la stessa creazione che noi supponiamo abbia i parametri fisici, non li ha affatto. La materia è solo un'illusione, è soltanto la cristallizzazione del nostro pensiero. Noi vediamo ciò che abbiamo imparato a credere vero. Quando l'uomo riuscirà ad affacciarsi a questa finestra e vedrà in realtà con occhi nuovi, percepirà l'universo che lo contiene, potrà impazzire o evolversi, non ci sono alternative».

P.H.: Forse tutte e due le cose...

M.C.: «Io ho passato sia l'una che l'altra. Non credo di essere superiore agli altri, però ho visto cose che gli altri non hanno visto. Anzi queste cose mi hanno insegnato ad essere più umile e ogni volta che rifletto su quanto mi accade, su quanto mi è accaduto, su quanto potrebbe ancora accadermi, mi sento sempre così piccolo, così solo e mi chiedo ancora: Perché io?»


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